Tre mesi per l’Omaggio all’Arte Povera del Maxxi di Roma sono il coronamento di un anno di dediche.
Il Maxxi di Roma in pochi anni ha abituato i suoi frequentatori ad un’attività e una laboriosità non comune nel campo espositivo nazionale, ma anche capitolino: l’esuberanza continua che viaggia da seminari a percorsi formativi e laboratori, fino ai più convenzionali spettacoli e mostre, sono da sempre superlative dimostrazioni dell’imponenza della cultura e dell’arte, e della loro importanza nelle nostre vite. La consapevolezza della nostra stessa storia, oltre che della nostra maturazione nel tempo e nei secoli, deriva anche e soprattutto dal segno che a quella storia abbiamo voluto affidare: e l’arte sola può rispondere a queste domande, meglio se mobile e continuamente ridiscussa e ripresentata come avviene al Maxxi Arte e al Maxxi Architettura, i due Musei della Fondazione perfettamente rappresentati dalla spettacolare struttura architettonica nel quartiere Flaminio.
Neanche il Maxxi stesso, però, ha potuto sposare in pieno l’ideologia artistica alla base dell’appuntamento di questo periodo, senza ridiscutere addirittura la sua stessa essenza, la sua stessa struttura: all’interno di tale possenza e fasto di modernità (persino in presenza di soluzioni minimali) non era possibile allestire l’Omaggio all’Arte Povera che Anna Mattirolo e Luigia Lonardelli hanno voluto evocare dal 7 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012. Il credo alla base del manifesto della corrente – ormai quarantennale scuola artistica nostrana – si compone proprio della rinuncia ai dettami “social” del museo e dell’esposizione nel suo senso più borghese: i materiali più umili della nostra società, quelli che servono il lavoro manuale stesso, che a sua volta forma e serve le nostre vite quotidiane, sono le monadi che compongono qualunque opera d’arte di cui possiamo avere bisogno (se di bisogno di può parlare nell’arte contemporanea). Così gran parte di questo allestimento, che si inserisce perfettamente nel contesto di omaggi all’Arte Povera del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, è stato disposto all’esterno del Maxxi: oltre all’opera in cuoio Sculture di linfa di Giuseppe Penone, ormai parte della collezione di proprietà dei Musei, i visitatori troveranno Jannis Kounellis e il suo Senza Titolo, che arriva dalla collezione dell’artista direttamente nella hall, lamiere e juta, polvere e ferro saldato, la materia prima del lavoro; ma soprattutto, è con l’installazione Canoa Roma di Gilberto Zorio che vengono accolti per primi i visitatori, in sospensione dalla vetrata dei primi piani direttamente esposta verso la strada e i passanti. La stessa trasformazione della corrente cosiddetta Povera, che trasfigura materiali semplici e umili in arte, opera sui cittadini di passaggio la stessa elevazione: essi diventano pubblico. Di Zorio è stata anche presentata all’inaugurazione una monografia a cura di Gianfranco Maraniello: alla presentazione è intervenuto anche Germano Celant, il progettista della prima mostra dedicata all’Arte Povera nel 1967, ormai una figura entrata di diritto nella Storia dell’Arte istituzionale, come a far da contrappunto a quel primo, umile anelito di indipendenza artistica che innalzò alla stregua di pennelli e scalpelli la pietra e la polvere.