La vena artistica di Filippo De Pisis, pseudonimo di Luigi Filippo Tibertelli, grande pittore italiano della prima metà del 900, si manifestò quando ancora adolescente, inizio a comporre poesie, molto apprezzate dai critici del tempo. Non deve quindi stupire che De Pisis, nato nel 1896 a Ferrara, già a 20 anni fosse conosciuto per le sue opere letterarie, poiché certi talenti artistici iniziano la loro produzione di pari passo con l’acquisto della consapevolezza e la conoscenza del mondo che li circonda.
L’incontro con la sua vera musa ispiratrice, la pittura, avvenne agli inizi degli anni ’20 in Italia, salvo poi affinarsi e acquisire maggiore profondità, anche di sentimento e compartecipazione all’opera nei successivi anni ’30. E’ in tale periodo, che De Pisis trascorse a Parigi (culla in quegli anni delle maggiori correnti dell’impressionismo europeo tra le due guerre) che la sua pittura assume i connotati propri di quelli che furono i suoi componimenti letterali adolescenziali. Una pittura composta d’impressioni visuali quasi sempre accennate, che si rifanno alle maggiori opere degli impressionisti francesi, rielaborate tuttavia in una chiave che potrebbe definirsi di malinconica poesia, la stessa vena di malinconia degli scritti della sua giovinezza.
Significativo ma anche sintesi del suo particolare modo di vedere la vita e di conseguenza l’arte, è il suo ciclo pittorico composto dalle famose “nature morte marine”. Dipinte tra il 1924 e il 1927, in questa fase della sua opera, De Pisis estrinseca tutta la sua ammirazione, risentendone nel contempo di tutto il suo influsso, per il grande artista francese, Edouard Manet, del quale non solo ricalca l’uso della gamma di colori presenti nella tavolozza, ma anche il modo stesso di dipingere. L’impiego di tinte calde, quasi poetiche, come il rosso laccato, il giallo dorato, l’ocra e le infinite gamme del verde unito a pennellate larghe, ampie e ben distribuite sono già arte a prescindere dalla rappresentazione vera e propria, che comunque ribadisce una poeticità di fondo con elementi appena accennati, lasciando allo spettatore una sensazione di contenuti tale da riempiere di significato l’esperienza visuale.
E’ forse proprio il segno utilizzato da De Pisis, definito dal Montale come “pittura a zampa di mosca” il tratto maggiormente caratteristico della sua pittura, che non subì interruzioni di sorta nemmeno nell’ultima fase della sua vita quando una malattia lo costrinse a un lungo immobilismo ospedaliero. In tale fase, il processo creativo dell’artista, lungi da subire una battuta d’arresto, continuò ad evolversi sino all’apice finale, con il successo ottenuto dalle sue opere alle Biennali veneziane del 1948 e del 1954.